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GARA OLIMPICA TOKYO – TRIATHLON INDIVIDUALE FEMMINILE

GARA OLIMPICA TOKYO - TRIATHLON INDIVIDUALE FEMMINILE

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LA POSIZIONE DI PARTENZA HA DAVVERO CONDIZIONATO LA GARA?

Dopo la gara individuale femminile nel triathlon a Tokyo sui social abbiamo letto diverse voci sostenere che la competizione sia stata condizionata dalla posizione di partenza dal pontone, favorendo la parte destra. Una tesi che ha cercato di usare a proprio supporto una heat map costruita comparando il tempo di ciascun atleta nella prova olimpica rispetto alla media del distacco dal primo di frazione (nuoto) nelle due precedenti gare di World Triathlon Series. A nostro parere questa analisi, fortemente condizionata dal bias nella scelta dei dati, è metodologicamente debole per diverse ragioni, e di per sé non fornisce alcuna prova della bontà della tesi. Vediamo perché.

Figura 1

Ordine di partenza della gara olimpica femminile. La scelta della posizione è avvenuta in ordine di rank a scalare dalla prima all'ultima.

IL CONTESTO

Giova ricordare innanzitutto come il triathlon sia uno sport che richiede un alto grado di adattamento alle situazioni contingenti, non solo in termini di variabili ambientali, che gli atleti devono essere in grado di gestire e interpretare con un buon grado di adattamento, ma persino nella gestione delle energie riguardo alla distanza, che da gara a gara – a pari formato – variano spesso di diverse centinaia di metri. In particolare nel caso della frazione nuoto è sbagliato pensare che sia una mera trasposizione in acque libere delle dinamiche di vasca, a causa del campo gara mai replicabile e delle peculiarità del nuoto in gruppo, con virate alle boe e sempre più spesso l’inserimento di uscite all’australiana, non necessariamente a metà frazione (tanto che anche a Tokyo i due split nel nuoto erano rispettivamente di 950 e 550 metri). 

Sarebbe dunque ingenuo pretendere che le condizioni del campo gara siano uguali per tutti in ogni momento e tanto più ingenuo sarebbe comparare la prestazione degli atleti (cioè quanto hanno espresso in gara dal punto di vista fisiologico e tecnico) con i risultati (cioè con “il frutto” della prestazione propria e altrui, nel contesto ambientale contingente). Ciò nonostante abbiamo modo attraverso una semplice ma razionale analisi di concludere se nella gara olimpica in questione la partenza abbia avuto un significativo impatto sulla gara, anzi, per meglio dire di capire se è probabile o improbabile che ciò sia avvenuto, pur con tutti i limiti dovuti alla scarsità di dati disponibili.

Figura 2

Partenza della WTS di Leeds, frazione nuoto con muta a differenza di quanto avvenuto a Tokyo

PERCHE’ USARE GARE PRECEDENTI NON E' UNA BUONA IDEA

Una delle regole auree della statistica è di confrontare cose uguali con altre cose uguali (il famoso “mele con mele e pere con pere”), se le cose non sono uguali si può provare a normalizzarle ma spesso questa operazione non può essere attuata, specialmente quanto si hanno pochi dati a disposizione. L’analisi usata a sostegno della tesi che la posizione al pontone ha condizionato la gara è parziale, non è statisticamente solida e non permette di trarre conclusioni poiché confronta 3 eventi diversi per condizioni del campo gara, starting list e – ragionevolmente – approccio alla gara da parte delle atlete. Inoltre utilizza un trattamento dei dati (la media dei distacchi nelle due WTS) che riduce ancora di più l’informazione disponibile.

MELE CON MELE

Anziché pescare dati in modo arbitrario abbiamo scelto di utilizzare solo quanto sappiamo della prova olimpica, confrontando dunque dati certamente omogenei, usando rank di accesso olimpico (robusto indice di qualità dell’atleta, un input nel nostro modello), posizione di partenza dal pontone (la variabile che vogliamo controllare, altro input del modello) e posizione e distacchi dei primi due split e del totale frazione (che contengono anche l’effetto della variabile che vogliamo controllare). Ordinando per posizione di partenza e costruendo una nuova heat map (Figura 2) già visualmente notiamo tre cose:

  1. Le atleti con miglior rank hanno scelto la parte destra del pontone (numeri più bassi)
  2. Le ultime 5 atlete (estremità sinistra del pontone) hanno ottenuto una prestazione molto migliore delle atlete al centro, analoghe a quelle posizionate nella parte “incriminata”
  3. Sembra sia molto difficile separare l’effetto del ranking olimpico dall’effetto del pontone
  4. “In fondo” al pontone Jeffcoat, Kingma e Barthelemy riescono a entra nella top 18
  5. Lopes e Perriault partite a centro gruppo si posizionano 2° e 12°
Figura 3

Heat map partenza, split 1, split 2 e posizione finale frazione nuoto a Tokyo [1]

I DATI RIDOTTI ALL'OSSO

Per ulteriore semplificazione abbiamo creato una matrice che conta il numero di atlete nei tre blocchi “input” alla partenza (18 dx – 18 centro – 18 sx) con i tre blocchi “output” nei due split e rispetto al totale frazione. Per ciascun gruppo abbiamo poi calcolato il rank mediano.

Nel primo split (che più dovrebbe risentire dell’effetto posizione allo start) risulta che hanno conservato il “gruppo” di partenza 13 atlete su 18, 5 su 18 a centro gruppo mentre 3 del gruppo “sinistra” sono entrate nella top 18 già alla fine del primo split.

Infine abbiamo riportato la posizione mediana rispetto al gruppo di partenza al primo split.

Osservando questa tabella sintetica (Figura 3) è evidente la differenza nell’indice di qualità atleta lungo il pontone ma anche che chi è partito dal centro e a sinistra è riuscito a portarsi davanti e almeno mediamente non si notano differenze eclatanti tra primo split (diverso punto di partenza) e secondo split (medesimo punto di partenza).

Figura 4

Sintesi dei valori in campo e degli split nei tre macro gruppi dx, centro, sx pontone

UNA PROSPETTIVA DIVERSA

Confrontando gli split e l’ordine finale emergono ancora più chiaramente gli outlier rispetto alla posizione di partenza con Jeffcoat, Ackermann, Kingma, Thorpe e Barthelemy ma anche gli outlier opposti (partite a dx e uscite dalla top 18).

Figura 5

Confronto posizione di partenza e classifica nei due split nuoto e ordine complessivo frazione

LA RISPOSTA E' PIU' COMPLESSA DI QUEL CHE SEMBRA A PRIMA VISTA

Una analisi qualitativa rispettosa del contesto e dei dati ci ha pertanto guidato verso almeno due conclusioni:

  1. Chi è partito nel gruppo delle 18 atlete a destra del pontone non ha goduto di speciali vantaggi
  2. E’ difficile separare l’effetto del rank olimpico dall’effetto della posizione di partenza

Passando però dall’analisi qualitativa all’analisi quantitativa tramite Principal Component Analysis [2] riusciamo a chiarire il contributo di ciascuna variabile al fenomeno esaminato, per cui sulla Componente Principale 1 abbiamo i seguenti contributi in ordine descrescente di importanza: distacco del secondo split e del secondo split (direttamente correlati al distacco totale) sostanzialmente pari (peso 0.49) , a seguire ranking olimpico (peso 0.40) e per ultima posizione di partenza (0.31), questi ultimi due come ovvio inversamente correlati al distacco totale.

Forse dunque non possiamo escludere una qualche influenza della posizione di partenza sul risultato della frazione nuoto, ma di certo possiamo dire che questa influenza è stata minore rispetto alle altre variabili in gioco. In conclusione: non sappiamo tutto del sistema indagato, ma sappiamo abbastanza per dire che il vantaggio dal pontone, nella migliore delle ipotesi, è stata residuale.

REFERENCE

[1] Tempi e classifiche gara https://olympics.com/tokyo-2020/olympic-games/en/results/triathlon/results-women-s-individual-fnl-000100-.htm
[2] 
[4] Kim H. Esbensen, Dominique Guyot, Frank Westad, Lars P. HoumollerMultivariate Data Analysis: In Practice : an Introduction to Multivariate Data Analysis and Experimental Design, Multivariate Data Analysis, 2002. ISBN8299333032, 9788299333030 
[3] R. Leardi, C. Melzi, G. Polotti, CAT (Chemometric Agile Tool), gratuitamente scaricabile al seguente link http://gruppochemiometria.it/index.php/software

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Conosci te stesso

Conosci te stesso

UNA LUNGA STORIA 

«Ciò che in fondo mi manca è di veder chiaro in me stesso, di sapere ‘ciò ch’io devo fare’ [At 9,6] e non ciò che devo conoscere, se non nella misura in cui la conoscenza ha da precedere sempre l’azione. Si tratta di comprendere il mio destino»[1]

La conoscenza di noi stessi, diceva il filosofo danese Soren Kierkegaard, è il fondamento dell’azione. Svariati secoli prima, Socrate aveva preso in prestito dal frontone del tempio di Apollo in Delfi proprio il motto “conosci te stesso”, come guida della sua ricerca filosofica, che sarebbe diventato un principio fondante della nostra cultura. E’ questo il metodo che consente a ciascuno di sottrarsi dal caos e, attraverso un paziente processo, di plasmarsi, anzi di costruirsi, letteralmente.

Tutto ciò è molto familiare a chi pratica sport a livello agonistico. Vocaboli come “consapevolezza”, “costruzione”, “metodo” sono precisamente le parole chiave attorno a cui gli atleti e i loro staff informano il proprio agire. Se a questo aggiungiamo che “non c’è conoscenza senza sofferenza”, come Eschilo fa dire al coro in “Agamennone”, certamente ci ritroviamo su un terreno ben noto a chi fa dell’impegno e della dedizione il punto focale della propria vita, sport o non sport.

Fa riflettere che princìpi così antichi e radicati siano in realtà tanto attuali e moderni da essere adatti a descrivere, da un punto di vista diciamo così “umanistico”, un universo tipicamente di tipo scientifico e tecnologico, quello legato alla ricerca della prestazione.

E’ invalsa l’insana abitudine di pensare che il mondo della conoscenza si divida in due, quello governato dalle scienze umane e quello delle scienze naturali, ma a guardare bene non si può che concludere che né gli esseri umani né la realtà nel suo complesso funzionano per comportamenti stagni, anzi sono fenomeni che possono essere davvero compresi solo se considerati in modo olistico, globale, complessivo. Il progresso scientifico e la ricerca aumentano considerevolmente la possibilità di controllare il proprio destino, ma la tecnica non è vincente di per sé, non può essere considerata autosufficiente, è semmai il terreno da cui fare scaturire il ragionamento e, perché no, a volte più che risposte giuste il suo compito è quello di spingere le persone a porsi giuste domande.

Questo è ciò che maggiormente ispira il nostro impegno.

DAI DATI ALLA CONOSCENZA

E’ da questa visione e su queste fondamenta che LWT3 ha costruito il proprio metodo di lavoro, basato sulla acquisizione e analisi integrata del sistema “atleta” nel suo complesso, per comprendere limiti e punti di forza metabolici, neuromuscolari e biomeccanici, ma soprattutto come questi interagiscono tra loro.

In questo modo l’atleta e il suo staff escono dal laboratorio con le idee molto chiare circa il tipo di intervento da attuare, concentrandosi sugli aspetti che davvero migliorano la prestazione e riducono il rischio infortuni. Decisioni data driven, prese dal tecnico sulla base della propria esperienza, dei feedback derivanti dall’atleta (e eventuali altri specialisti presenti se necessario, ad esempio di area sanitaria) supportati dalle rilevazioni oggettive, opportunamente elaborate e discusse insieme a noi sia nel debriefing post test “a caldo” sia nella reportistica successiva, che offre una occasione di ulteriore meditazione.

Partire dal dato grezzo, mettersi nelle condizioni di prendere buone e concrete decisioni di “azione” e infine migliorare la prestazione richiede una serie di passaggi (che abbiamo codificato secondo il nostro approccio, come illustrato in figura 1) che devono essere tutti di alta qualità, altrimenti l’efficacia del sistema viene compromessa.

DATA PIPELINE

Figura 1 Data Driven Pipeline

Non tutti i dati nascono uguali, purtroppo, ed è per questo che abbiamo scelto di dotarci solo di strumentazione capace di garantire alta qualità di accuratezza (ovvero quanto siamo capaci di misurare il valore reale del fenomeno) e precisione (ovvero quanto sono vicine tra loro misure indipendenti), ricorrendo alle migliori soluzioni presenti sul mercato (ad esempio per il metabolimetro) e costruendo in-house da zero i sistemi più critici, quali l’Elettromiografia di superficie (sEMG) sia per la parte hardware che software, o di utilizzare il miglior hardware (come le nostre 6 telecamere Optitrack per il tracciamento ottico 3D) associato a software pensato per applicazioni di alta precisione, al di fuori del consueto perimetro “standard” in ambito sportivo.

Fig 2 Definizione dei concetti di Accuratezza e Precisione per la valutazione degli errori casuali e sistematici di misura.

PIU’ DATI UGUALE MIGLIORE COMPRENSIONE?

Avere a disposizione un maggior numero di dati, ancorché “buoni” non significa necessariamente riuscire a tirarne fuori informazioni più utili. Basti pensare che da un singolo secondo di esercizio rilevato dalla sEMG (ad esempio una contrazione isometrica) otteniamo 1000 righe di dati, per cui da un test incrementale o in steady state da 25-30 minuti ricaviamo tranquillamente 1 milione e mezzo di righe per singolo canale, degli 8 (standard) fino a 16 (in casi particolari), ben oltre le possibilità di gestione da parte di un foglio Excel (che può contenere fino a 1 milione e 48 mila 576 righe). E se già Shakespeare nel “Giulio Cesare” fa dire a Cicerone “gli uomini possono interpretare le cose a modo loro, interamente contrario al significato di esse”, non è difficile comprendere come sia cruciale pulire il segnale per “estrarre” informazione dal rumore di fondo e successivamente presentarlo in modo che sia comprensibile.[2]

ANALISI NEUROMUSCOLARE: PROVA MASSIMALE DA 30”

In figura 3, esempio di acquisizione sEMG, dove dopo un meticoloso lavoro di filtraggio si può apprezzare il livello di attivazione (RMS) e affaticamento (MNF) dei muscoli monitorati. In questo caso il confronto tra i bicipiti sinistro e destro mostra come il primo non abbia recuperato nell’intervallo tra le due ripetute massimali, mentre il bicipite destro sembra recuperare leggermente, comportamento testimoniato da un rialzo della MNF. Anche nella fase finale il bicipite destro sembra recuperare meglio rispetto al bicipite sinistro. Osservando le catene cinetiche nel loro complesso, ad esempio guardando “insieme” muscoli agonisti\antagonisti, otteniamo invece preziose indicazioni circa la partecipazione o meno delle unità motorie all’esecuzione dei gesti. La Figura 4 mostra il segnale elettromiografico filtrato con un classico Butterworth, per eliminare disturbi e artefatti da movimento. Successivamente ad altre operazioni, possiamo visualizzare lo spettrogramma del segnale che ci permette di evidenziare la dinamica delle frequenze di attivazione lungo tutta la durata della prova.

Figura 3 Segnali RMS (attivazione) e MNF (fatica) ottenuti da prova massimale
Figura 4 - In alto segnale sEMG trattato con filtro Butterworth, in basso spettrogramma

Poiché il rumore cresce in modo più rapido del segnale “utile” in proporzione all’aumento di dati, più la tecnologia è sofisticata e più il lavoro di analisi diventa importante, per evitare soprattutto il classico problema per cui i dati vengono usati per confermare un pregiudizio, o per accontentare l’atleta o il tecnico. Non essere onesti di fronte ai dati non è mai una buona idea, può portare a combinare grossi disastri, e ancora peggio è “farsi portare in giro” dai dati (cosiddetto atteggiamento “fishing for data”), il modo migliore per sprecare tempo, energie e denaro.

Un altro principio cardine a è quello di inserire i dati acquisiti dentro a un contesto capace di dare loro un senso rispetto alla realtà da cui provengono e in cui devono essere utilizzati. Non abbiamo mai la pretesa di pensare che dati perfetti possano portare a previsioni perfette “di per sé” semplicemente perché sappiamo che il dato perfetto, ottenibile magari in laboratorio se si è molto bravi, dovrà poi essere messo alla prova una volta che l’atleta si troverà in strada, in pista, sul campo. Ecco perché ogni volta che costruiamo il modello di funzionamento dell’atleta in laboratorio, in parallelo acquisiamo con strumenti in grado di funzionare nel mondo reale, così da poter utilizzare il patrimonio di informazioni nel contesto in cui servono davvero.

UN PROGETTO INDIVIDUALIZZATO

Per la stessa ragione abbiamo scelto di non proporre una lista di test che è possibile effettuare presso il nostro laboratorio, non esiste un menù predeterminato.

Il primo passo è sempre quello di capire qual è l’esigenza dell’atleta: per alcuni sarà di limare il più possibile la prestazione, per altri scoprire per quale ragione continua a incappare negli infortuni. Qualcuno vorrà individuare il suo principale fattore limitante, qualcun altro avrà il desiderio di sapere che tipo di attrezzatura esalta il suo potenziale.

Per rispondere a queste esigenze costruiamo un programma di lavoro su misura, che parte da un’accurata anamnesi dell’atleta, un colloquio con il suo tecnico, e prosegue con la definizione del protocollo di testing che spesso si traduce in più di una seduta nel corso di settimane\mesi in funzione dei diversi obiettivi. Anche fino alla messa a punto finale pre gara o alla completa risoluzione del problema.

BOX - ANALISI METABOLICA: PROVA INCREMENTALE

Esempio di acquisizione al Metabolimetro con prova VO2max (nel caso specifico di Ciclismo) che permette di trovare nel modo più preciso le soglie (VT1 e VT2) per impostare le zone di allenamento. [3] Lo strumento consente inoltre di quantificare il livello funzionale alle diverse intensità, identificare punti di forza e debolezza (ad esempio se il limiter è di efficienza della resistenza aerobica piuttosto che di tipo aerobico estensivo, intensivo o massimale) per orientare le scelte del tecnico nella direzione più fruttuosa. La successione di test restituisce informazioni preziose circa il livello di risposta a determinati stimoli. I dati ottenuti dal metabolimetro sono particolarmente apprezzati dai nutrizionisti, che possono avere così certezza delle necessità energetiche dell’atleta e quindi programmare al meglio sia il piano nutrizionale complessivo che le strategie di integrazione prima-durante-dopo allenamenti e gare.

Figura 5 Elaborazione dati da metabolimetro da prova VO2max. In alto è rappresentato Volume Ossigeno, Volume Anidride Carbonica e Ventilazione espiratoria. In basso il calcolo dell’utilizzo macro nutrienti, carboidrati e grassi.

ANALISI BIOMECCANICA: PROVA STEADY STATE

L’analisi biomeccanica (figura 6) consente di comprendere gli aspetti cinematici (posizione del corpo nel tempo) e cinetici (che tiene conto anche delle masse e quindi quantifica le forze in gioco) e da sola o in integrazione con la sEMG è un’arma fondamentale per investigare le situazioni di infortunio ricorrenti o per la scelta delle scarpe più adatte a ciascun runner. [4] Per chi vuole lavorare sui dettagli inoltre è lo strumento che permette di cercare quei micro-aggiustamenti necessari a massimizzare l’economia di corsa.

Figura 6 Andamento delle variabili cinetiche e cinematiche della corsa, utili indicatori della fatica indotto dall'esercizio

Il tracciamento ottico si dimostra un’arma eccezionale nello studio dell’interazione tra essere umano e attrezzature tecniche. Nella figura 7 vediamo il dettaglio del movimento spalle su Handbike (prospettiva posteriore) da cui emerge il movimento “pulito” della destra mentre a sinistra è presente un “ricciolo” che indica una limitata fluidità del gesto. Correlata a altri aspetti, tra cui la conoscenza dell’atteggiamento posturale globale, questa informazione ha portato a modificare il design del sedile, in modo da fare esprimere pienamente il potenziale dell’atleta.

Figura 7 Istantanea del movimento spalle (prospettiva posteriore) di un atleta su Handbike ottenuta dal sistema di tracciamento ottico

UNO PIU’ UNO UGUALE TRE

Figura 8 Le Canard Digérateur, automa meccanico progettato da Jacques de Vaucanson nel 1739

Quando si parla di valutazione funzionale si tende a trattare l’atleta come una macchina che funziona a compartimenti stagni: come lavorano i sistemi energetici? Quali sono gli angoli di movimento? Quali sono i muscoli che si affaticano maggiormente?

Questo approccio cosiddetto riduzionista, teorizzato da Cartesio nel suo De homine (1662), sostiene che gli esseri viventi posso essere spiegati come meccanismi, né più né meno di questo automa “Anatra Digeritrice”, solo un po’ più complessi.

Seguendo questa traiettoria meccanicista-determinista dovremmo sempre essere in grado, a partire da dati completi, accurati e precisi, di poter prevedere esattamente qualsiasi fenomeno, ad esempio potremmo dire che aumentando un po’ la capacità anaerobica dell’atleta, modificando l’angolo di impatto al suolo del piede e riportandolo in una postura statica simmetrica, allora otterremmo un miglioramento del suo tempo in gara di una certa percentuale.

Ma l’atleta, l’essere umano, naturalmente non funziona così. Neppure la natura in generale funziona in questo modo. Possiamo modificare le singole variabili ma non dobbiamo cadere nella trappola per cui ogni pezzo del sistema, ciascuna parte del fenomeno, lavorano in modo indipendente rispetto al tutto. L’atleta non è la somma dei suoi sistemi, metabolici, neuromuscolari, biomeccanici, così come una torta non è la semplice somma di farina, latte, zucchero e uova. La dimostrazione più semplice è che mentre esistono infinite combinazioni di quantità di ingredienti che producono torte differenti, di sicuro nessuno ha mai pensato di fare una torta fatta solo di farina, o latte, o zucchero, o uova.

Allo stesso modo la prestazione è il frutto di una complessità, dell’intrecciarsi delle variabili, l’una sull’altra, da sole e in modo aggregato. In altre parole non possiamo tralasciare le interazioni. Nel nostro caso dunque uno più uno non fa due, ma sicuramente almeno tre. L’atleta è molto più della mera somma delle sue componenti.

Cosa farcene dunque di tutte le informazioni acquisite? Ciò che è più naturale, guardarle tutte insieme. Per farlo utilizziamo la statistica Multi-Variata che grazie a operazioni matematiche di scalatura e centraggio permette di guardare tutto il fenomeno nel suo complesso dalla stessa prospettiva.[5]

In figura 7, ad esempio, possiamo vedere, letteralmente, il comportamento congiunto dei sistemi energetici e dell’attivazione muscolare di un triatleta durante un test ciclismo steady state, che restituisce in modo straordinariamente chiaro il suo profilo funzionale globale.

Ogni punto infatti rappresenta il livello di performance “sintetico” di 16 variabili prese in considerazione (6 metaboliche, 1 di espressione meccanica del costo metabolico, 1 di cinematica e 8 di tipo neuromuscolare). [6] Si riconoscono perfettamente i 4 cluster di intensità (dal blu al rosso intenso, da Z1 a Z4) e si vede in modo molto chiaro il punto di passaggio dalla resistenza aerobica alla potenza aerobica estensiva, così come viene evidenziato che l’esaurimento è di tipo neuromuscolare (affaticamento dei vasti laterali) e non metabolico. Naturalmente per interpretare questi grafici è necessaria un po’ di esperienza e conoscenza del protocollo. In un articolo specifico vedremo come utilizzare questa tecnica per riconoscere i diversi profili funzionali e individuare così punti di debolezza su cui lavorare in allenamento e punti di forza su cui impostare la strategia gara.

Figura 9 Score Plot e Biplot di una prova ciclistica in steady state analizzato tramite tecnica statistica Principal Component Analysis

BIBLIOGRAFIA

[1] S. Kierkegaard, Diari 1834-1842 I, tr. it di C. Fabro, A. G. Quinzio e G. Garrera, Morcelliana, Brescia, 20104, p. 67.

[2] Surface EMG detection, conditioning and pre-processing: Best practices, R. Merletti , G.L. Cerone, Journal of Electromyography and Kinesiology, Volume 54, October 2020, 102440.

[3] GASKILL, S. E., B. C. RUBY, A. J. WALKER, O. A. SANCHEZ, R. C. SERFASS, and A. S. LEON. Validity and reliability of combining three methods to determine ventilatory threshold. Med. Sci. Sports Exerc., Vol. 33, No. 11, 2001, pp. 1841–1848.

[4] Ventilatory threshold during incremental running can be estimated using EMG shorts, Olli Tikkanen, Min Hu, Toivo Vilavuo, Pekka Tolvanen, Sulin Cheng and Taija Finni, Physiol. Meas. 33 (2012) 603–614

[5] R. Leardi, C. Melzi, G. Polotti, CAT (Chemometric Agile Tool), gratuitamente scaricabile al seguente link http://gruppochemiometria.it/index.php/software

[6] EMG signs of neuromuscular fatigue related to the ventilatory threshold during cycling exercise, Franc¸ois Hug, Marion Faucher, Nathalie Kipson and Yves Jammes, Clin Physiol Funct Imaging (2003) 23, pp208–214

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